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Quando si parla di Shoah, il pensiero va immancabilmente ad una celebre poesia, che ogni studente italiano ricorda di aver letto almeno una volta nella propria vita. E probabilmente quello studente ricorda ancora il brivido di orrore provato lungo la schiena. Ci sono due versi di quella celebre e immortale poesia che recitano “Dimmi se questa è una donna/Senza capelli e senza nome”. Il nome è ciò che ci viene dato ancor prima che nasciamo, ed è ciò che sopravvive anche alla nostra morte, nella memoria di chi ci ha conosciuto. Essere resa calva è inoltre, per una donna, l'annullamento dell'essere femminile, la privazione di una delle cose che la rendono tale. Togliere il nome, tagliare i capelli, togliere ai mariti quelle mogli che avrebbero voluto proteggere da tutto e da tutti, togliere alle madri i frutti del loro grembo, faceva parte di un programma che non prevedeva solo l'eliminazione, ma anche l'annullamento e la distruzione della persona. Ciò che forse ha sempre inorridito più di tutto è stata la programmazione totale, matematica, maniacale di uno sterminio. 
 
Non è però questa la sede per e non siamo noi le persone adatte per poter discutere delle ragioni politiche, psicologiche e sociologiche che hanno portato allo sterminio di sei milioni di persone. La vasta letteratura mondiale sul tema ci insegna che dietro all'orrore c'erano per lo più persone come tante altre, molte delle quali erano solo ignoranti o poco interessate a ciò che accadeva a due passi dalla propria porta, il che probabilmente rende ancora più difficile tentare di dare una spiegazione a quanto accadde. 
 
Però c'è un episodio di cui è doveroso parlare. Il 10 maggio 1933, in Opernplatz (oggi Babelpaltz), a Berlino, i nazisti bruciarono circa 25.000 libri, perchè ritenuti pericolosi. L'autore di uno dei libri bruciati, Heinrich Heine, anni prima aveva scritto una cosa che tradotta può suonare come “chi brucia i libri, un giorno brucerà le persone”. Bruciare un libro vuol dire bruciare un pensiero, un'idea. E se le idee, talvolta, possono sembrare pericolose, non accettare quelle degli altri lo è ancora di più. Vuol dire non accettare l'altro, non accettare chi non è come noi. Oggi, in Babelplatz, è posta una targa, che riporta la frase di Heine. E' un monito, per tutti quelli che ci passano davanti: non vuol dire solo ricorda la storia, vuol dire anche non eliminare l'idea diversa, perchè prima o poi finirai per eliminare il diverso.  E così noi oggi non ricordiamo solo gli uomini di fede ebraica o di origine ebrea sterminati nei campi di concentramento. 
 
Oggi vogliamo ricordare anche coloro che furono uccisi perchè malati di un male incurabile, o perchè di fede politica diversa, o perchè di orientamento sessuale diverso. Vogliamo ricordare tutti coloro che rischiarono la propria vita, e magari la persero, per fare la cosa giusta. Perchè il mondo non ha bisogno di eroi, come ebbe a dire Brecht, ma ha sicuramente bisogno di uomini. Vogliamo ricordare un Paese, teatro del più grande orrore che l'Europa abbia mai conosciuto, che pochi anni dopo, risollevatosi con una forza ed un coraggio disumano, sarebbe stata uno dei fondatori dell'Europa unita.
 
Ed è "Uniti nella diversità" uno dei motti che Erasmus Student Network Italia porta avanti ogni giorno. Un messaggio che sottolinea la mission costante di quest'associazione di riunire al suo interno ragazzi di diferenti nazionalità, culture e religioni, con l'obiettivo di abbattere qualunque forma di pregiudizio e razzismo. ESN Italia oggi si unisce alle celebrazioni per la Giornata Mondiale di Commemorazione delle Vittime dell'Olocausto. 
 
Per non dimenticare, per raccontarlo ai nostri figli e ai nostri nipoti, per ricordarci che un uomo non è un uomo se non ha il nome, se non ha i capelli, se non accetta chi è diverso da lui, se uccide i suoi fratelli, se toglie loro l'identità in cambio di un numero inciso sulla pelle con il fuoco. Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche dell'Armata Rossa arrivarono in una città polacca, vicino a Cracovia, Oswiecim, più tristemente nota al mondo con il nome tedesco di Auschwitz, per aprire le porte dell'inferno. 
“L'affermazione più profonda che sia mai stata pronunciata a proposito di Auschwitz non affatto
un'affermazione, ma una risposta. La domanda: 'Ditemi, dov'era Dio, ad Auschwitz'. La risposta
“E l'uomo, dov'era?”. 
- William Styron -