Abbiamo iniziato a sentir parlare di “social distancing” durante i primi giorni del mese di marzo, molti di noi erano già tornati dalle proprie famiglie e la preoccupazione era più che concreta. Ora che il momento più difficile, almeno per l’Italia, sembra esser passato e le contromisure sono meno asfissianti, la distanza sociale non diminuisce.
“Distanza sociale”, concetto difficile da concepire per l’uomo, essere sociale per eccellenza, non limitato a quel solo metro di distanza che, unito alla preoccupazione e alla paura, ci destabilizza e confonde. Un’arma a doppio taglio capace di allontanare e ferire tanto quanto è capace di chiarire e curare. Distanti dagli altri ma vicini a sé stessi, in molti si sono trovati a rivalutarsi e a fare lo stesso con il prossimo, riscoprendosi forti in questa solitudine forzata, oppure rimanendone schiacciati.
Le distanze che ci sono state imposte oramai le conosciamo fin troppo bene e abbiamo imparato a conviverci, ciò non toglie, però, che siano ugualmente difficili da accettare e rispettare. La frustrazione dettata dall’impotenza tipica di questo momento è qualcosa di incontrollabile e l’unica via percorribile è la tolleranza. D’altronde è ormai noto che il contatto fisico non è un bisogno secondario: già Bowlby nel ’69 ne scopriva l’importanza per la sopravvivenza e il corretto sviluppo della personalità sana. Gettando un occhio al contesto attuale, invece, l’ordine degli psicologi ha appositamente creato nuove misure di azione, proprio per ovviare a questa difficile situazione, cercando di fornire un buon aiuto terapeutico nonostante le misure di sicurezza. Altrettanto difficili da gestire sono stati i problemi educativi creatisi a causa della pandemia. Insomma, mettere in pausa una parte così importante della nostra vita è un sacrificio grande da sostenere del quale, momentaneamente, dobbiamo purtroppo farci carico.
Stesso discorso non vale, però, per la gestione di queste distanze e del “nostro universo personale”. Sicuramente è una situazione che ci mette a dura prova anche psicologicamente, costringendoci a creare degli spazi non solo fisici ma anche mentali fra noi e “gli altri”, ad ora incolmabili. I primi, dettati dalle necessarie misure di sicurezza e, i secondi, di stessa origine ma più subdoli ed altrettanto difficili da aggirare. Perché, però, dovremmo lasciar insinuare indisturbato questo pensiero nelle trame della nostra vita? Perché, invece, non proviamo ad estrapolarne un senso, una ragione, un’occasione. Potremmo pensare alla distanza coercitiva che ci costringe “soli” come la prospettiva, che magari abbiamo sempre ignorato, attraverso la quale guardare a noi stessi ed alle nostre relazioni. Un quadro non lo si riesce ad apprezzare da pochi centimetri di distanza, si ha bisogno di allontanarsi per apprezzarne l’insieme in tutte le sue parti.
Per quanto è stato (e sarà) possibile, come associazione ESN si è impegnata a preservare l'equilibrio di questoinsieme adesso più che mai instabile. Eventi, anche se digitalizzati, e campagne social di ogni genere, frutto dell’inventiva e plasticità del nostro Network, sono state, quantomeno, di aiuto a tutti coloro che si sono trovati in difficoltà. Questo, però, potrebbe non essere sufficiente. Un avvenimento di questa portata, riuscito non solo a piegare uno stato ma il mondo intero, forse, ha bisogno di qualcosa di più per essere superato. Proprio qui entriamo in gioco tutti noi ESNers, pronti a farci carico non solo delle nostre vite ma anche di quelle degli amici e degli Erasmus, appellativi che molte volte coincidono, spinti da quell’inestinguibile affetto che proviamo per l’associazione, la nostra seconda famiglia.
Riccardo S.
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