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A differenza di tanti che non fanno in tempo ad iscriversi all'università che già stanno pensando a quando partirsene per l'Erasmus, io non si può proprio dire che non vedessi l'ora di andarci. I primi anni al contrario, NON VOLEVO andarci.

“Andare lì tutti quei mesi da sola? Senza conoscere nessuno?? Mai!”

Ebbene sì. Mi cagavo sotto. Non ero pronta.

Poi un giorno e giuro che non ho idea perché – non c'era stato nessun cambiamento, nessuna motivazione – ho pensato: “voglio andare”. E ho compilato le carte. E la burocrazia per partire è tanta, e di solito la pigrizia mi ferma. Ma quella volta no. Ero improvvisamente pronta. Tuttavia, anche dopo che avevo organizzato e pianificato tutto, quando sono partita ero triste. Perché stavo bene anche dove stavo. Ma per fortuna, fino all'ultimo c'è stato “quel qualcosa” che mi ha spinto.

Non sapevo nemmeno bene cosa mi aspettava. Sì, sapevo che la gente si diverte in Erasmus perché ci sono un sacco di feste, ma non sapevo che sarei cambiata profondamente. Ed è per questo che non sto scrivendo per raccontare delle feste, delle gite del weekend o dei ragazzi. Sto scrivendo per cercare di spiegare, di esprimere perché dopo 3 anni quell'esperienza è ancora marchiata a fuoco dentro di me. Perché quell'esperienza ha segnato un nuovo inizio nella mia vita.

Non sto dicendo che ho fatto un Erasmus diverso dallo studente medio. Ho fatto festa – ho fatto festa tanto che alla fine tutti mi conoscevano come quella ragazza italiana che esce sempre; mi sono ubriacata; ho conosciuto migliaia di persone; ho fatto sesso. Ma quelli sono momenti. Li vivi, anche al massimo, ma finiscono. Quello che mi porto dietro da 3 anni è altro. Non ho fatto neanche troppe amicizie. Conoscenze a bizzeffe, alcuni li sento ancora ogni tanto, ma che posso tuttora chiamare amico ce n'è solo uno. Ma non importa. La mia è stata una vera e propria crescita personale, solo mia.

Dopo l'Erasmus ti senti come se potessi affrontare qualsiasi cosa. Ti senti forte. Come nella canzone di P. Diddy, “I'm coming home”. Quando torni “[...] back where I belong, I've never felt so strong... I feel like there's nothing that I can't try”. Dopo che sei riuscito a cavartela, a cominciare una nuova vita in un posto che non conosci, ad affrontare qualsiasi tipo di situazione, da solo, in un Paese diverso dal tuo e in una lingua che non è la tua... Di cosa puoi aver paura, dopo? In un'altra lingua ho seguito intere lezioni, in un'altra lingua ho parlato con il postino, il tassista, il libraio dei Charity Shops, il bibliotecario, l'estetista(!). Ho chiesto aiuto alle commesse, ho litigato con i bigliettai, ho spiegato i sintomi dei miei malanni ai farmacisti. In un'altra lingua mi sono iscritta in palestra, in un'altra lingua sono andata con il cuore in mano dalla Responsabile dell'Ufficio Relazioni Internazionali a pregarla di poter restare fino a giugno quando la mia borsa di studio finiva a gennaio, e sono andata all'Accommodation Office a cercare un'altra stanza perché la mia era già assegnata ad un'altra ragazza per il secondo semestre. Sono passata dall'essere sola all'incontrare per caso e salutare in giro per la strada un sacco di persone che conoscevo.

Avevo costruito con le mie mani una nuova “hometown”, la mia seconda “hometown”. L'ho capito un giorno passeggiando per Newland Avenue per le solite commissioni, e un altro giorno attraversando gli enormi prati che circondavano il campus. Ero felice della strada che io da sola avevo scelto per me stessa, che avevo creato giorno dopo giorno.

E pensare che prima dell'Erasmus vivevo con i miei genitori, non sentivo neanche la necessità di andare a vivere da sola, non avevo mai lasciato la mia città natale per più di qualche settimana, né avrei voluto lasciarla. Anche solo questo denota quanto sia maturata... Se non fossi andata in Erasmus oggi probabilmente vivrei ancora a casa con i miei e forse non avrei neanche un lavoro – siccome per lavoro ho poi dovuto trasferirmi lontano da Trieste. Prima avevo paura di tutto, invece poi ho imparato che ad ogni ostacolo c'è una soluzione, e che invece di farti prendere dal panico puoi trovare dentro di te il modo di venirne fuori.

Dopo l'Erasmus mi sono unita a ESN a Trieste, e nessun altro progetto di questa meravigliosa associazione poteva rappresentarmi di più di Erasmus in Schools, progetto in cui andavamo nelle scuole superiori a parlare ai ragazzi di quanto sia importante fare delle esperienze all'estero. Perché il mio unico rimpianto è quello di non essere partita prima... Se quando ero a scuola io, fosse venuto qualcuno a parlarmi dell'Erasmus con lo stesso entusiasmo con cui sono andata io a parlarne, forse avrei deciso di partire prima dell'ultimo anno di specialistica. Forse mi sarei svegliata prima. O forse no, non sarei comunque stata pronta fino ad allora. Ma io ci provo lo stesso ad urlare al mondo FATELA quest'esperienza...ma fatela prima possibile, perché dopo non solo porterete con voi tanti stupendi ricordi, ma la vostra visione del mondo sarà diversa. Migliore.

...poi magari quell'esperienza non per tutti sarà significativa quanto lo è stata per me. In un certo senso ammiro quelli per cui è stato solo un altro bel viaggio o semplicemente un folle susseguirsi di feste. Ma se tra quelli che leggeranno questa mia testimonianza ce ne sarà anche solo uno che scoprirà di averne bisogno quanto ne avevo io, sarò felice di averla scritta. 

- Giulia “Smith García” Consoli, Erasmus a Hull, ESNr a Trieste (e in un certo senso a Milano) -