I vincitori della settima edizione de "Il Tuo Erasmus con ESN" sono:




Nome Cognome Università
Agnese Clementoni Cherubini Università degli Studi di Pisa (ESN Pisa)
Stefania Malerba Università del Salento (ESN Lecce)
Beatrice Geusa Università degli Studi di Trento (ESN Trento)
Valeria Vavalà Università Ca' Foscari Venezia - IUAV (ESN Venezia)
Bianca Jacod Alma Mater Studiorum - Università di Bologna (ESN Bologna)
Eleonora Maroni Università degli Studi di Trento (ESN Trento)
Anna Pittino Università degli Studi di Udine (ESN NASE Udine)
Noemi Perosa Università degli Studi di Torino, Politecnico di Torino (ESN Torino)
Martina Cocconcelli Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (ESN ENEA Modena)
Martine Chantal Fantuzzi Università degli Studi di Parma (ESN ASSI Parma)
Alessia Vazzoler Università degli Studi di Trento (ESN Trento)
Martino Gandi Università degli Studi di Pavia (STEP ESN Pavia)
Riccardo Sardano Università degli Studi di Bari (ESN Bari)
Lara Rita Serra Università degli Studi di Padova (ESN Padova)
Chiara D’Amaddio Università degli Studi di Pisa (ESN Pisa)
Giorgia Giangrande Università degli Studi di Roma "La Sapienza" (ESN Roma ASE)
Gian Maria Gagna Università degli Studi del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro" - Vercelli (ESN Piemonte Orientale)
Gaia Garbo Libera Università di Bolzano (ESN Bolzano)
Guglielmo Arcucci Libera Università Internazionale degli Studi Sociali "Guido Carli" (ESN Roma LUISS)
Mattia Naldoni UNIVPM - Università Politecnica delle Marche (ESN ESAN Ancona)
Enrica Russo Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM (ESN IULM Milano)
Alberto Berardi Alma Mater Studiorum - Università di Bologna (ESN Bologna)
Lorenzo Sgarbanti Università degli Studi di Ferrara (ESN Ferrara)
Martina Caccia Università degli Studi di Bergamo (ESN Bergamo)
Lisa Di Paolo Università degli Studi del Molise (ESN Unimol)

 

Di seguito gli elaborati dei vincitori:

Agnese Clementoni Cherubini,

ESN Pisa

La guardo che dorme nel suo letto. In una stanza che forse, ora, le sta un po’ stretta.

Troppo piccola per contenere quella che è diventata la forza che da lei sprigiona, la forza che travolge, squassa, riempie tutti coloro che le stanno intorno, trasmettendo loro il suo entusiasmo per la vita. È tornata da poco, qualche settimana. È tornata diversa. Ha sulle mani, nelle gambe, sulle labbra, nelle orecchie, negli occhi, i segni dell’esperienza. Profondi, perpetui, indelebili.

Non voleva nemmeno partire. O forse lo voleva troppo e aveva paura di rimanere delusa. O forse prestava eccessiva attenzione a quanti la dissuadevano, sminuivano l’esperienza, sminuivano la sua volontà considerandola un capriccio infantile. E le ricordavano i suoi doveri, i suoi obblighi nei loro confronti, le sue responsabilità. Non la bloccavano timori, paure, ansie per l’ignoto, ma coloro che più le erano noti, coloro che più mostravano di amarla e che, tuttavia, la frenavano.

Infine ha deciso. Ha deciso grazie alle parole di colei che più l’amava e sola si distingueva. Doveva essere una sua scelta. Sua e di nessun altro. E se rinunciare avrebbe significato rinunciare a se stessa, rinunciare a sogni, aspettative, speranze, coltivati da tempo, non doveva farsi persuadere da nessuno. Da nessuno e da niente.

È partita, una domenica di settembre, un po’ uggiosa e nostalgica.

Ha scoperto la bellezza degli opposti e delle contraddizioni. I pianti e le risa, I benvenuti e gli addii. L’inizio e la fine, Il bianco e il nero.

Ma soprattutto ha scoperto la bellezza della “medietas” la media tra gli estremi. I pianti tra le risa. La compagnia, l’amore, il rispetto reciproco. Le esperienze, le avventure. tutte le sfumature di grigio e tutti i colori.

Quella scelta radicale, difficile, personalissima, l’ha riscoperta comune; è diventata linguaggio universale, codice di comunicazione fra culture diverse, paesi diversi, vite diverse.

Era una ragazza timida, poco fiduciosa in se stessa, sfuggente. La vergogna di parlare in pubblico la bloccava, la paralizzava, la faceva arrossire, le gelava le mani, le faceva dolere la testa: paura, terrore, preoccupazione le erano dipinte sul volto. Era brava a scrivere, a comunicare con le parole emozioni, suoni, profumi, era a suo agio con in foglio bianco, una penna in mano.

È tornata con la medesima voglia di scrivere, raccontare, comunicare; profumi, culture, colori, cibi, emozioni, esperienze, viaggi, persone.

Un’infinita storia di integrazione, diversità, comunità, di tutti quegli opposti che ha conosciuto e amato. Muove i suoi primi passi in contesti in cui deve esporsi in prima persona. L’esperienza l’ha cambiata, l’ha cresciuta, le ha permesso di aprirsi, di utilizzare la voce che per troppo ha tenuto nascosta dentro di sé. Parla. Parla con tutti. Parla con tutti di come ciascuno mette a frutto la ricchezza accumulata in modo differente: il polacco che è entrato a far parte dell’orchestra giovani europei, raccogliendo suoni e musiche diversi, complementari, necessari; la francese che aiuta i bambini in situazioni famigliari difficili a studiare e raccontare di una vita diversa e possibile; l’estone che fa video sui social per spiegare l’Unione Europea ai suoi coetanei; lei stessa ha iniziato a fare volontariato, dando lezioni di italiano ai rifugiati e mettendo in pratica l’acquisita conoscenza del francese.

Coinvolge tutti coloro che le stanno intorno, racconta di un’appartenenza che è dentro ciascuno e che deve essere scoperta, coltivata, di cui bisogna essere orgogliosi, riconoscenti, consapevoli.

Avviene un ribaltamento di di quanto successe in Grecia nell’antichità: all’apertura dei confini e alla creazione di una società cosmopolita, il cittadino greco si allontanò dalla dimensione della “polis”, dalla partecipazione civile, si chiuse nella sua individualità per riscoprirvi un’appartenenza più profonda, una cittadinanza europea che richiede un impegno civile, in una società sovranazionale che si pone come tassello ulteriore nella naturale progressione aristotelica da un nucleo minimo di società, famiglia, a formazioni più complesse, fino a tale commistione di culture, tradizioni, che non è perdere l’individualità di ciascuno, ma approfondirle; tornare a percepirne le differenze, apprezzarle, farne tesoro; ed essere orgogliosi, di ciascuna appartenenza, alla propria città, alla propria regione, al proprio stato, e infine, alla comunità europea. Appartenenze diverse, ma non escludentisi.

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Stefania Malerba 

ESN Lecce

 

Ciao Sara,

ti lascio scritte qui un paio di cose. Se ti va ci dai un’occhiata, quando hai tempo. Sto per partire, di nuovo. Le emozione sono tante e a metterle su carta faccio un po’ fatica. Ci provo.

I documenti sono firmati, burocraticamente per ora fila tutto liscio, l’aereo è prenotato e la carta di imbarco è pronta. Ho addirittura comprato la valigia nuova, che l’altra si era rotta. La valigia ovviamente è ancora vuota, aspetto gli ultimi giorni, poi mi dai una mano. Ti lascio la mia camera per un po’, se vuoi ci puoi dormire, tanto in ogni caso ci andresti a dormire lo stesso. 

Ne sarai felice! In realtà lo sei veramente, lo sei per me.

Eri felice sul serio quando due anni fa ti ho detto che sarei partita per Siviglia, ti brillavano gli occhi. Cioè, non so se davvero ti stessero brillando gli occhi, ma dalla voce che avevi al telefono giurerei di sì. E sei felice anche adesso. Questa volta gli occhi che ti brillavano te li ho visti e ho visto anche che erano lucidi mentre mi dicevi che ero una “bambina Erasmus” che sul momento mi sono messa a ridere, il nomignolo non mi dispiace per niente.

La prima “bambina Erasmus” della famiglia però non sono stata io, sei stata tu! Lo eri quando hai deciso di fare domanda per studiare all’estero e non ci hai pensato due volte ad accettare quando sono state pubblicate le graduatorie. Lo eri quando mi raccontavi delle passeggiate notturne quando i locali erano già tutti chiusi, dei colori delle strade e degli affreschi della cattedrale che ti piacevano tanto. Lo eri quando chiamavi a casa per lamentarti di come erano andati gli esami e dei problemi in segreteria, che alla fine il detto che “tutto il mondo è paese” non è così falso, ed avevi ragione.

Lo eri quando ti siamo venuti a trovare a Zaragoza con mamma e papà e siamo andati a pranzo tutti insieme, noi ed i tuoi amici. Lo eri tu e lo era Luisa, la tua amica tedesca, quando, mentre eravamo a tavola, ha cominciato a cantare “Bella ciao” dicendo che gliel’avevi insegnata tu e ne avevate parlato, un po’ in spagnolo e un po’ in inglese.

Lo eravate voi, che avevate già capito che la lingua universale esiste davvero e non è fatta solo di grammatica e sintassi.

È la lingua della curiosità, del rispetto reciproco e della comprensione.

È la lingua dell’integrazione, della vicinanza, dell’empatia. È la lingua della consapevolezza che il nostro Bel Paese è meraviglioso, la nostra cucina è rinomata in tutto il mondo e il nostro modo di gesticolare è caratteristico e fa sorridere, ma ci sono Paesi che vantano una P altrettanto maiuscola da visitare, altri piatti tipici da provare e modi di gesticolare e comprendere.

Ci sono altri accenti curiosi, altre tradizioni, altri volti ed altri sorrisi, uguali e belli come lo eri il tuo durante quel pranzo.

Me l’hai insegnato tu che basta una parola buona per fare la differenza, che siamo giovani ma indispensabili, che siamo cittadini e prima ancora di questo siamo persone. Mi hai insegnato che viaggiare è sinonimo di osservare e conoscere, che è necessario studiare il mondo per poter tornare in patria più consapevoli di come si era partiti, con il cuore pieno di emozioni da raccontare e probabilmente con un luogo in più da poter chiamare “casa”.

Sei stata tu la mia “bambina Erasmus” e mi hai insegnato ad esserlo. E lo sono stata, quando in Spagna sentivo parlare italiano mi venivate in mente voi, quando per strada sorridevo a chiunque incrociasse il mio sguardo, spensierata, con la gioia di sperimentare senza pregiudizi la varietà che avevo davanti.

E lo sono ora, quando mi chiedono di parlare della Spagna e mi parte istantaneo un sorriso, seguito da una valanga di ricordi…

Ciao Sara, sto per partire di nuovo. L’Europa non ha frontiere e tu mi hai indicato la strada, che cambia ogni giorno e conduce sempre ad una meta differente. Sto per partire e, come mi chiami tu, sono una “bambina Erasmus”, ma non lo sono ancora abbastanza.

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Beatrice Geusa,

ESN Trento

 

“Partecipo? Non partecipo? E se poi non mi trovo bene e voglio tornare a casa?”

Centinaia di dubbi riempiono la mia testa mentre, titubante, compilo la domanda per l’Erasmus. Ma ad un tratto mi torna in mente una frase di Anne Carson che la mia professoressa di letteratura inglese era solita ripeterci: “C’è solo una regola nei viaggi: tornare diverso da come sei partito”. Tutto tace. Partecipo.

 

Non è stata una scelta facile, lo devo ammettere. Sono sempre stata una ragazza introversa e l’ignoto mi ha sempre spaventato. Ma ho sempre amato viaggiare e finora questo amore ha sempre avuto la meglio. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Viaggiare mi ha sempre fatto sentire come se, finalmente, anche io avessi trovato il mio posto nel mondo. Solo per sapere poi, che non era mai stato un unico posto ma tutti quelli che avevo visto fino a quel momento e tutti quelli che avrei visto in futuro.

Ogni viaggio mi ha regalato un nuovo luogo da amare, e ogni volta sono tornata diversa, forse anche migliorata.

 

Per questo non posso che essere d’accordo con Umberto Eco, quando dice che passare da un periodo della proprio vita all’estero dovrebbe essere obbligatorio. Tutti dovrebbero provare l’ebbrezza di conoscere culture diverse dalla propria, innamorarsi di luoghi vicini e lontani, immergersi in tradizioni antiche e perdersi nei quartieri di città cosmopolite. Perchè viaggiando cambi, non puoi rimanere la stessa persona che eri quando sei partito.

 

Come si può rimanere fermi delle proprie convenzioni dopo aver conosciuto persone con idee così diverse? Come si possono innalzare muri dopo aver scoperto che fuori c’è un mondo da scoprire e apprezzare? Come si può ignorare o disprezzare chi è diverso da noi quando si è vissuta in prima persona la gentilezza di completi estranei?

 

Viaggiare ri rende diverso, ti arricchisce l’animo e impedisce che il tuo cuore si inaridisca come accadrebbe rimanendo chiusi nella propria stanza, nelle proprie convinzioni, nel proprio mondo. Viaggiare ti rende coraggioso perché ti permette di affrontare le tue paure. Ti rende leale, perché non puoi voltare le spalle a chi ti ha accolto quando eri lontano da casa. ti rende protagonista della tua società, perché non sarai più capace di stare in disparte lasciando che le cose accadano. 

 

E per me l’Eramsus è questo: un modo per prendere in mano la mia vita e farne un capolavoro. Non sarà facile ma so che non sarò sola, perchè milioni di giovani europei faranno lo stesso. La Generazione Erasmus, così ci chiameranno nei libri di storia. Milioni di ragazzi, protagonisti della loro vita, che hanno vissuto l’Europa e hanno lasciato che Lei vivesse loro. Senza pregiudizi, senza limiti e senza confini.

 

Hanno lasciato la loro casa e ci sono tornati più consapevoli, pronti a coinvolgere chiunque incontrassero sul loro cammino. Pronti a condividere la gioia del viaggio e di ciò che avevano trovato al loro arrivo: un senso di appartenenza, un’identità comune. Erano cittadini si, ma cittadini dell’Europa. Hanno stravolto le società basate sulle divisioni come un fiume in piena che spazza via ogni cosa e che niente può fermare. E hanno ricostruito, insieme, un’Europa unita, diversa, come la sognavano i suoi fondatori.

 

E io ho fatto la mia parte, questo potrò dirlo ai miei figli e ai miei nipoti. Ho partecipato al progetto Erasmus, e da lì non mi sono più fermata. Ho partecipato a progetti di tirocinio e volontariato in vari stati membri. Mi sono interessata più attivamente alla politica europea spingendo più persone possibili a fare lo stesso e a votare ogni volta in cui fosse possibile far sentire la nostra voce. Ho preso parte a progetti volti ad incentivare i giovani a partecipare ai progetti di mobilità, soprattutto per aiutare persone introverse come me a vincere le loro paure e i loro dubbi e a partire. La mia scelta di partire è stata personale, ma una volta tornata non ha più potuto riguardare solo me. Non potevo più stare in disparte. ormai ero anche io un membro della Generazione Erasmus.

 

D’improvviso un rumore mi riporta al presente e mi accorgo di avere i brividi al sol pensiero di ciò che mi aspetta. Ma non posso fermare il sorriso che nasce sul mio viso, perché ora lo so: ho fatto la scelta giusta. Partecipo.