Quante volte abbiamo letto e ascoltato la locuzione latina “mens sana in corpore sano”? Ma quante volte ci siamo davvero soffermati sul suo reale significato? Quanta importanza diamo al nostro benessere mentale? Quante volte, invece, tendiamo a metterlo in secondo piano rispetto alla nostra salute fisica?
Oggi approfondiremo alcune sfaccettature del tema della salute mentale con la psicologa Paola Zaira Sciutto. Paola viene da Pizzo, un paesino in provincia di Vibo Valentia, in Calabria. Dopo aver svolto la magistrale in Neuroscienze e riabilitazione psicologica a Padova e un tirocinio a Bruxelles presso l’ULB, ha deciso di mettersi in gioco e portare tutte le esperienze e le conoscenze acquisite durante il suo percorso di studio nella sua terra.
La società attuale ci pone davanti numerose situazioni e sollecitazioni che su di noi non sempre hanno un effetto positivo. Ma davvero tutto ciò che percepiamo come negativo è patologicamente tale? Qual è il limite tra “normale” e “patologico”?
La nostra società, ossia quella occidentale, va spesso di fretta ed è volta alla performance. È una società incentrata sul “devo farcela da solo”, “devo raggiungere i miei obiettivi”. Ciò che andrebbe normalizzato è il fatto che puoi anche non farcela da solo; questo non vuol dire che sei debole o, addirittura, matto! Tutti possiamo andare dallo psicologo. Citando alcune recenti ricerche, il 70% degli europei non si rivolge ad un professionista della salute perché pensa di potercela fare autonomamente. Questo è esattamente lo specchio della nostra società: chiedere l’aiuto di un professionista della salute, che sia uno psicologo o uno psicoterapeuta, viene visto come una sconfitta o una mancanza di forza. “Io da solo non ce l’ho fatta…”. Tutti noi, nella nostra vita, abbiamo delle battute d’arresto, momenti in cui ci sentiamo più deboli, indifesi, angosciati. È un atto d’amore verso noi stessi, quando ci sentiamo così, non eccedere rispetto alle nostre risorse. In realtà, riuscire a chiedere aiuto è un punto di forza ed estremo coraggio. Inoltre, nella nostra società anche il “cambio di direzione” viene visto come un fallimento. Ad esempio, decido di fare quella specifica facoltà universitaria, dopo un po’ mi rendo conto che non fa per me e voglio cambiare: “ho fallito”, ma non è così! Siamo esseri umani, “l’unica costante è il cambiamento” (cit.). È perfettamente normale cambiare idea nella propria vita. Dovremmo essere più clementi nei nostri confronti. Come fare a capire la differenza tra “normale” e “patologico”? Non è un “ce l’ho/non ce l’ho”, ma più un continuum tra normalità e patologia. Quello che potremmo definire come aut aut per capire se siamo dentro un qualcosa che richiede più attenzione è quando ci sentiamo limitati nella nostra vita quotidiana, quando quello che proviamo diventa talmente forte che ci impedisce di uscire di casa, di svolgere le nostre attività quotidiane come vorremmo, di andare a sostenere un esame, di prendere la macchina e guidare, di fare un viaggio.
Il tema della salute mentale, in un modo o nell’altro, permea la realtà, ma siamo davvero consapevoli della sua importanza? La famosa "mens sana" è davvero riconosciuta come elemento di influenza sul nostro benessere generale?
Risposta secca: no, la salute mentale non è così riconosciuta come quella fisica. Risposta più articolata: nell’ultimo periodo è stata portata più attenzione al tema della salute psicologica, anche perché, come Ordine degli psicologi, ci siamo fatti sentire dal Governo. Dopo più di un anno di pandemia, la richiesta è aumentata e forse si sta normalizzando di più l’andare dallo psicologo. Durante il periodo Covid, si è pensato molto a curare le persone dal punto di vista fisico, ossia trovare una cura, però non si è pensato agli aspetti del vissuto e, in particolare, mi riferisco alle persone che sono morte da sole negli ospedali. Non c’è stato un adeguato accompagnamento alla morte, non si è pensato di fare andare i familiari al capezzale di una persona che stava per morire: questo, per me, è sinonimo di scarsa attenzione alla salute mentale. Qualche passetto in avanti è stato fatto, però c’è ancora tanta strada da fare.
Uno degli stati d'animo che più frequentemente ci troviamo ad affrontare è l'ansia, che sia essa per il futuro incerto, per l'esame del giorno dopo o magari per il messaggio che aspettiamo di ricevere. Ma l'ansia è davvero e soltanto una nemica da combattere o può in qualche modo esserci d'aiuto?
Questi esempi hanno qualcosa in comune: il futuro. L’ansia viene definita come uno stato di preoccupazione per qualcosa che probabilmente avverrà in futuro che viene percepita come una minaccia. È un qualcosa che ci predispone a rispondere a quell’evento. Quando siamo in ansia, oltre al sentimento, c’è una serie di attivazioni fisiologiche che avvengono nel nostro corpo: sudorazione, tremore delle mani e della voce, il sangue che va ai muscoli, aumento della frequenza cardiaca. Tutto questo perché in natura, durante la nostra evoluzione come esseri umani, abbiamo sviluppato filogeneticamente l’ansia: essa ci ha salvato dai pericoli, ponendoci in azione di fronte ad una minaccia. Le risposte che tipicamente possono essere date sono due: attacco o fuga. Sia che tu decida di attaccare o di fuggire, quell’attivazione fisiologica ti sta preparando alla risposta. È vero che noi ci siamo evoluti così, ma è anche vero che oggigiorno non troviamo più un ghepardo o un leone per strada da cui doverci difendere. Questo il nostro corpo non lo sa e reagisce allo stesso modo per un esame che devo dare il giorno dopo. L’ansia viene da noi e tutto quello che viene da noi non può essere sbagliato. Se il mio corpo sta reagendo così, forse mi sta dicendo qualcosa. L’errore più comune che si fa è cercare di eliminare l’ansia, invece dovremmo imparare ad ascoltarla e a capire cosa ci sta dicendo. Tempo fa ascoltavo un podcast - che si chiama “Come barche in mezzo al mare” - che descrive questo tipico sentimento nei giovani tra i 18 e i 30 anni. Nel podcast si racconta di un episodio de “The Big Bang Theory”, in cui Penny e Sheldon sono in macchina insieme e c’è la spia del motore accesa. Sheldon dice a Penny: «Guarda, c’è la spia del motore accesa, dovresti controllare» e lei risponde: «Basta non guardarla». L’ansia è un po’ come questa spia, ci batte la mano sulla spalla e ci dice: «Guarda, c’è qualcosa che tu stai ignorando in tutti i modi, ma forse dovresti prestare attenzione». Anche qui c’è un limite tra “normale” e “patologico”. Quando si entra nel patologico, l’ansia ci impedisce di svolgere le nostre attività quotidiane in piena autonomia. Se, invece, sono preoccupato perché mi sto preparando per un esame, però, alla fine, qualunque sia l’esito, vado a sostenerlo, allora è un’ansia giusta che mi sta predisponendo a rispondere a quell’evento. Ascoltare la nostra ansia sarebbe la cosa più giusta da fare.
Il Covid-19 ha avuto senza dubbio un impatto sulle nostre vite e sulla nostra salute mentale. La pandemia ha messo in discussione sia il futuro che le libertà che davamo per assunte e intoccabili, come ad esempio quella di viaggiare e di spostarsi senza restrizioni. Questo è stato sicuramente avvertito con maggiore forza dai giovani, ma qual è stato, in realtà, l'effetto su di essi? Il Covid ha seriamente influito sulla salute mentale degli individui o ha solo evidenziato un problema già esistente?
Il Covid è stato un trauma nel senso psicologico del termine. La parola “trauma” deriva dal greco e significa “ferita”, quindi, come qualunque ferita ha un prima e un dopo. Noi ormai ragioniamo in termini di pre e post-Covid. Ogni evento traumatico, ogni ferita che si viene a creare non fa altro che allargare una forbice già esistente. Come dimostrano i dati di numerose ricerche, i giovani d’oggi soffrono di ansia e depressione di più delle generazioni passate. Vi leggo una storia che mi è piaciuta molto: “In America centrale, un gruppo di indios trasportava materiale in una marcia forzata per una spedizione archeologica. Al quinto giorno improvvisamente si arrestarono e né premi né minacce li convinsero a ripartire. Dopo tre giorni ripartirono tra lo stupore degli scienziati e, quando tempo dopo si stabilì un rapporto di fiducia, spiegarono semplicemente: «Correvamo troppo e, quindi, abbiamo dovuto aspettare che le nostre anime ci raggiungessero. Siamo sicuri che anche le nostre anime non debbano fare ancora molta strada per raggiungerci?». Ci siamo dovuti fermare forzatamente. In una società, come abbiamo detto all’inizio, volta al raggiungimento affannoso degli obiettivi, siamo sicuri che questo sia stato proprio un male oppure ci ha consentito di entrare in contatto con quello che è il nostro io più profondo e di conoscerci meglio? Ci sono state delle limitazioni alle nostre libertà e questo ha avuto delle conseguenze, ma è perfettamente normale sentirsi preoccupati per il futuro, sono emozioni che è giusto provare in questo momento. Penso ad un genitore che ha dei figli da mantenere e magari non sa se può tornare a lavorare, penso a noi giovani che non sappiamo se avremo un lavoro oppure no. Ma vorrei trovare l’altro lato della medaglia e provare a vedere il bicchiere mezzo pieno, che non vuol dire essere sempre positivi e con il sorriso perché sarebbe una finzione; vuol dire accettare, perché nella vita ci saranno sempre cose che sfuggiranno al nostro controllo. Accettazione non vuol dire rassegnazione; vuol dire osservare esternamente, prenderne atto e andare semplicemente avanti. Questo è uno dei primi principi della mindfulness.
È possibile agire sulla propria mente per trarne beneficio a livello fisico? Quali consigli possono essere utili per affrontare al meglio i giorni d'oggi?
La mindfulness può essere un valido aiuto, lo dico perché l’ho sperimentata in prima persona. Ci aiuta ad agire anche sul nostro corpo perché se andiamo ad agire sulle nostre emozioni, inevitabilmente andremo ad agire anche su quello, in quanto sono estremamente connessi. L’uno non potrebbe vivere senza l’altro. La definizione di mindfulness è prestare attenzione consapevolmente al momento presente in maniera non giudicante e questo si rifà molto all’accettazione di cui parlavo prima: ci aiuta a stare nel presente. Laddove abbiamo davanti a noi un futuro molto incerto, quello che possiamo fare è provare a stare nel qui e ora. Qualora si presenti un disagio che diventa limitante, non bisogna esitare nel rivolgersi ad un qualunque professionista. Quasi tutti gli psicologi e gli psicoterapeuti in questo momento stanno utilizzando l’online. Stare con le proprie emozioni, essere più clementi e flessibili verso noi stessi ha sicuramente dei benefici. Bisogna ascoltarsi di più. L’ascolto non è fatto solo di parole, ma di attenzioni, premura e presenza.
Team Health & Well-being
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